
Seguito del racconto di viaggio agli ex campi di concentramento e sterminio di Auschwitz II-Birkenau.
11 gennaio 2019: BIRKENAU
In polacco Brzezinka, ovvero il paese delle betulle, un terreno paludoso, abitato prima della seconda guerra mondiale da contadini.
Stasera tornando a piedi da Birkenau verso Auschwitz abbiamo trovato un pannello con delle fotografie per strada, tra le vie del paese. Le fotografie mostrano i contadini in partenza dalle proprie abitazioni, sfollate nel 1941. I materiali degli edifici distrutti servirono per costruire parte delle baracche del campo.
La superficie riservata all’intero complesso di Auschwitz-Birkenau ricopriva quaranta chilometri quadrati. Oltre ai tre principali: Auschwitz, Birkenau e Monowitz (dove fu internato Primo Levi), c’erano una cinquantina di campi sussidiari, costruiti dai prigionieri, principalmente nei pressi di miniere, fonderie, stabilimenti industriali e fattorie.
La prima parola che mi viene pensando a Birkenau è: immenso. Ora è tutto ricoperto di neve e si fa fatica a vederne i confini, nonostante il filo spinato (che durante la guerra era a 700 V), e le torri di controllo.
Entrando dalla rampa ferroviaria, che portava i treni direttamente dentro al campo di sterminio si trova un vagone per il bestiame, come quelli usati per i deportati. Chi era sopravvissuto ai viaggi estenuanti da ogni parte d’Europa trovava la morte appena sceso dal treno. La maggior parte delle persone che arrivavano a Birkenau non passava la selezione e andava nella colonna verso la camera a gas.
Alcuni treni arrivavano ancora più avanti, all’ingresso dei forni crematori. Le selezioni erano state fatte prima di partire, erano tutti destinati a essere uccisi appena arrivati.
Il primo forno crematorio fu realizzato nel campo di Auschwitz, ma non era abbastanza efficiente, a Birkenau costruirono i forni più grandi No.2 e No.3 in fondo al campo, e ancora No.4 e No.5 nascosti al confine con il bosco. Ma non bastavano mai, arrivavano migliaia e migliaia ogni giorno, spesso dovevano aspettare di essere uccisi fuori dalle camere a gas. Anche i forni crematori erano affollati e spesso bruciavano i corpi a cielo aperto.
A destra di trovano i settori maschili, con baracche in legno, come quelle delle scuderie per cavalli, ancora come animali. Per le SS erano economiche, veloci da montare e smontare all’occorrenza, come fecero alla fine del 1944, quando iniziò lo smantellamento per distruggere le prove dei crimini commessi.
A sinistra le baracche di mattoni nel settore delle donne. Furono le prime ad essere costruite, dopo optarono per quelle in legno. Le donne erano meno degli uomini: uccise appena arrivate insieme ai propri bambini, con una puntura di fenolo al cuore o gassate e incenerite. Spesso una donna prendeva più bambini e li accompagnava a morire salvando qualche amica, sorella o figlia.
Dall’esterno queste baracche sembrano quasi delle case ma appena entrati si sente la morte con gli occhi e con il cuore. Due file di tavole per dormire e l’ultima direttamente a terra, con un po’ di paglia marcia. Molti avevano la dissenteria e si capisce che chi riusciva a salire in cima al castello era fortunato.
Tra i forni e il bosco c’è un blocco dove chi era scampato alla selezione iniziale veniva spogliato, rasato, tatuato, lavato con un getto di acqua gelata o bollente e vestito, se così si può dire, con una divisa usata “disinfettata” con il vapore e consegnata bagnata. Niente biancheria, calze, cappotto o altro indumento. Da quel momento solo un numero tedesco, vietato farsi chiamare per nome o parlare la propria lingua. I cinquecento bambini, cavie di Josef Mengele, trovati dai russi alla liberazione non sapevano più come si chiamavano, né parlare la propria lingua.
In questo edificio sono esposte le fotografie ritrovate in una valigia sotterrata con i ricordi di persone, famiglie intere, non numeri. Siamo abituati a pensare alle vittime della Shoah (che non si possono contare, dato che chi era selezionato per la camera a gas appena arrivato non veniva neanche registrato), come spettri che camminano, a vedere i volti emaciati, senza capelli, con gli occhi vuoti. In questi pannelli si vedono persone vere, famiglie felici e spensierate, feste, neonati, primi passi, primi bagnetti, uomini in giacca e cravatta, donne con vestiti e cappelli. Tutti andati in fumo.
Proprio in fondo, prima del forno No.3 si trovava la baracca dove Mengele torturava le sue vittime con esperimenti di tutti i tipi, soprattutto su bambini e gemelli. Crudeltà pura, senza limite né anestesia. Anche la mia mamma aveva una gemella, uguale, sarebbero finite qui di sicuro, me lo diceva sempre.
MAI PIÙ: il silenzio dei sopravvissuti
“Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti”, Primo Levi.
I pochissimi che hanno avuto la fortuna nella sfortuna di essere deportati nell’ultimo periodo prima della liberazione, o quanti avevano una dote o professione utile alle SS, chimico come Primo Levi, illustratore come David Olère, violinista come Helena Dunicz Niwińska, hanno avuto più possibilità di altri di salvarsi. Per questo hanno sofferto tutta la vita per il senso di colpa e la vergogna di essere usciti da quell’inferno, dove avevano visto morire, o semplicemente non visto più, tutti i membri della propria famiglia.
Durante la guerra le case degli ebrei erano state occupate dai vicini, intere famiglie sparite, nessun ricordo, niente di niente. E i pochi sopravvissuti non potevano parlare di quanto avevano vissuto, gli orrori della prigionia e dello sterminio. Chi aveva denunciato, o semplicemente assistito alla deportazione di massa non voleva sapere dove erano andate quelle persone o che cosa fosse accaduto dopo.
In Polonia tutti i ragazzi sono obbligati a visitare questi luoghi almeno una volta. Spero che anche in Italia si arrivi a questa consapevolezza.
Non ci sono parole per descrivere che cosa si vede o raccontare i crimini atroci commessi qui, nel cuore dell’Europa, tra boschi ricoperti di vischio portafortuna. Solo camminando sulla neve ghiacciata, tra filo spinato, rovine dei forni crematori, baracche con file di buchi uno attaccato all’altro per liberarsi dagli escrementi, fosse scavate dai prigionieri e binari che portano alla morte si può sentire le urla delle innumerevoli persone a cui è stata rubata la vita.
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Nel precedente post il video della visita al Campo di concentramento di Auschwitz, nel prossimo la partenza e qualche info pratiche su come venire a visitare questi luoghi di orrore e morte. Per non dimenticare di che cosa è capace l’uomo, se guidato da suoi simili senza umanità.
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