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Le Mura di Lucca, la mia città

30 Marzo 2019 by federicabertolli Leave a Comment

 

felice sul risciò, insieme alla mia famiglia
Fede sulle mura

Festeggiamo l’arrivo della primavera con un giro di mura in risciò. Lasciamo la macchina al parcheggio e ci avviamo con le biciclette verso Porta San Donato, ci fermiamo al primo baluardo per giocare un po’ sulle collinette e per andare sull’altalena. Poi ci dirigiamo verso piazza Santa Maria per noleggiare un risciò.

Colgo l’occasione per studiare la storia di quest’opera grandiosa: le Mura di Lucca sono seconde solo a quelle costruite dai veneziani per fortificare Nicosia, capitale di Cipro. Costruite con mattoni di fango, le mura cipriote sono lunghe qualche centinaia di metri più delle nostre, ma non abbastanza larghe da poterci passeggiare sopra, tra viali alberati e baluardi giardino come quelli lucchesi.

Quella che vediamo oggi è la terza cerchia muraria, Lucca infatti era una città romana, che viveva intorno al foro (Piazza San Michele in foro appunto), da cui partivano le due arterie principali: il cardo (via Santa Croce fino a Via San paolino) e il decumano (via Fillungo fino a via Cenami). Di questa prima cerchia rimane solo un piccolissimo tratto vicino alla chiesina delle Rose, dietro il duomo di San Martino.

L’anfiteatro romano invece è ancora oggi conservato perfettamente. Un tempo sede del mercato, oggi è uno dei simboli della città. Nella piazza ovale, circondata da locali, lucchesi e turisti da tutto il mondo si possono godere la pace cittadina, oltre ad eventi di arte o spettacoli estivi.

Nel Medioevo la cinta muraria fu allargata secondo le esigenze della nuova città e di queste mura rimangono ancora due porte, ora all’interno del centro storico: Porta San Gervasio sul cardo e Porta dei Borghi alla fine del decumano.

Infine i primi del Cinquecento la Lucca rinascimentale richiedeva delle mura ancora più ampie e imponenti, per difendersi principalmente dai fiorentini. In realtà le mura servirono come deterrente, più che come fortificazione militare. L’unica occasione in cui le mura servirono per proteggere la città fu nel 1812 quando durante un’alluvione del vicino fiume Serchio, i lucchesi chiusero e imbottirono tutte le porte con materassi e pagliericci.

Lucca mantenne la sua indipendenza fino al 1799 quando cadde sotto i francesi e Napoleone decise di assegnarla alla sorella Elisa Baciocchi. Uno dei monumenti dedicati alla principessa è proprio Porta Elisa, prima apertura in direzione di Firenze, ormai non più pericolosa.

In seguito alla morte di Napoleone, dopo riassetto europeo deciso nel Congresso di Vienna, a Lucca arrivò Maria Luisa Borbone, Infanta di Spagna. Tra i cambiamenti voluti dalla Duchessa ci fu la trasformazione delle mura da fortificazione a giardino e passeggiata della città. Nacquero così l’Orto botanico nel 1818, realizzato secondo il progetto affidato a Lorenzo Nottolini per creare un’area verde all’interno della cinta muraria. In seguito, nel 1840, il figlio Carlo Ludovico Borbone, volle trasformare una casermetta militare in caffè, e nacque il primo locale sulle mura, in cima a una maestosa salita da Piazza Grande, ovvero Piazza Napoleone.

Con il nostro risciò facciamo tutto i giro delle mura e scendiamo al baluardo di San Frediano, passando davanti al giardino di Palazzo Pfanner, location di numerosi film, dal Marchese del Grillo con Alberto Sordi, a Ritratto di Signora con Nicole Kidman.

Attraversiamo la città, girando nelle viettine strette, tra palazzi ricciolosi, davanti alla Domus Romana del I secolo a.c., in Piazza delle Catene ovvero San Michele in Foro, con la tipica facciata in stile lucchese con mille colonnine tutte diverse, sormontate dall’immenso Arcangelo Michele, con il leggendario brillante al dito, visibile ai più determinati all’imbrunire.

Ancora avanti, verso il Duomo di San Martino, dove si svolge uno dei più famosi mercatini dell’antiquariato ogni terzo fine settimana del mese; attraverso piazza Bernardini per vedere l’ostinata “Pietra del Diavolo“, che secondo un’altra leggenda, rimane staccata dal muro nonostante le numerose sostituzioni; per finire in piazza Cittadella, dove si trova la casa natale di Giacomo Puccini, ora museo dell’omonima Fondazione.

Lucca riserva sempre mille sorprese, anche per i suoi abitanti. Continueremo a viverla e a raccontarla con gioia!

Greca di chiusura post con sette bambini felici, l'icona di Look Mummy! Felicità assoluta

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Visita ad Auschwitz – conclusioni e info pratiche

27 Febbraio 2019 by federicabertolli Leave a Comment

Fede davanti a una casa bianca, tutto ricoperto di neve
Davanti alla Guest House 7th Room a Oświęcim (Auschwitz), in Polonia

Dopo i due giorni passati a visitare gli orrori dell’olocausto ad Auschwitz ripartiamo con un bagaglio pieno di emozioni e un forte senso del dovere: diffondere a più persone possibile quanto è accaduto prima e durante la Seconda Guerra Mondiale.

La discriminazione, l’odio, la violenza e lo sterminio di famiglie intere. Per la maggior parte ebrei ma non solo, i polacchi dopo l’invasione da parte di Hitler dovevano scomparire dalla faccia della terra. Gli zingari perché “asociali”, gli intellettuali perché pericolosi per il regime, gli omosessuali perché non conformi all’ideologia nazista, i Testimoni di Geova in quanto obiettori di coscienza, i russi come prigionieri politici.

Nell’ottica della prepotenza ogni pretesto è valido per prevalere sulle minoranze. Ieri come oggi. “Oggi con i migranti, come ieri con gli ebrei” afferma la senatrice a vita Liliana Segre, una dei 25 sopravvissuti, su 776 bambini italiani deportati ad Auschwitz.

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Come arrivare ad Auschwitz, in Polonia

Sicuramente il viaggio in aereo è il più comodo e veloce. Noi abbiamo scelto di andare in treno, siamo partiti a piedi verso la stazione più vicina per ripercorrere anche emotivamente il viaggio che dovevano affrontare i deportati. Viaggiavano per giorni, su vagoni bestiame senza acqua, cibo (solo con le provviste che ognuno di era portato), senza avere la minima idea di quanto durasse il viaggio, né di quale fosse la destinazione finale. Ammassati uno sull’altro, tra bisogni fisiologici e corpi di chi non ce l’aveva fatta neanche ad arrivare.

Il percorso migliore, con meno cambi da fare ci è sembrato: Firenze-Vienna-Břeclav (Rep. Ceca)-Oświęcim (il nome polacco di Auschwitz). Da Lucca siamo andati a Firenze per prendere l’Euronight Trenitalia per Vienna (clicca per info). La mattina abbiamo preso il treno per Břeclav (clicca per info), subito dopo il confine tra l’Austria e la Repubblica Ceca, da qui l’ultimo treno per la destinazione finale: Auschwitz, a circa 60 km da Cracovia. In tutto il nostro viaggio è durato quasi 23 ore (qui il post con il video del viaggio di andata)

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Dove alloggiare

Abbiamo scelto la Guest House 7th Room, a 10 minuti a piedi dal Museo del campo di concentramento di Auschwitz e mezz’ora distante dall’ex campo di sterminio di Auschwitz II-Birkenau. Pulita, moderna, con una cucina attrezzata a disposizione. Il supermercato si trova a 200 metri.

Come preparare la visita

Andare a visitare gli ex campi di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau è un’esperienza che consigliamo a tutti (compiuti 14 anni). Lascia un segno profondo nella vita di chi ripercorre la dolorosa e folle storia di morte inflitta a innumerevoli esseri umani.

Consigliamo di preparare la visita ad Auschwitz attraverso libri, film (Il bambino con il pigiama a righe è l’ultimo che ho visto), video testimonianze dei sopravvissuti (per esempio quella Sami Modiano), che raccontano l’inferno che ha rubato loro la famiglia, l’infanzia, la casa e la serenità dell’anima per il resto dei loro giorni.

Sul sito ufficiale è disponibile un mini corso introduttivo, molto utile. Nei blocchi dell’ex campo di Auschwitz sono allestite diverse mostre, alcune permanenti, altre suddivise per paese, oltre a diversi progetti educativi. Inoltre, cliccando i seguenti link è possibile visualizzare le mostre on-line e aprire la pagina della visita virtuale ai diversi luoghi in interesse ad Auschwitz.

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Come prenotare una visita guidata in italiano

A questo link, nella sezione del sito Visiting è possibile prenotare una visita guidata, individuale o in gruppo, anche in italiano.

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Filed Under: Diritti Umani, Firenze, Storia, Viaggi, Video Tagged With: Auschwitz, Birkenau, Břeclav, campi di concentramento, diario, ebrei, Firenze, guerra, Liliana Segre, memoria, migranti, Nazismo, Olocausto, Oświęcim, Polonia, razzismo, Repubblica Ceca, Shoah, sterminio, storia, treno, video, video YouTube, Vienna, visita, Wien, YouTube

Visita all’ex campo di sterminio di Auschwitz II-Birkenau

5 Febbraio 2019 by federicabertolli Leave a Comment

Fede dietro al filo spinato del campo di sterminio
Baracche nel settore femminile di Birkenau

Seguito del racconto di viaggio agli ex campi di concentramento e sterminio di Auschwitz II-Birkenau.

11 gennaio 2019: BIRKENAU

In polacco Brzezinka, ovvero il paese delle betulle, un terreno paludoso, abitato prima della seconda guerra mondiale da contadini.

Stasera tornando a piedi da Birkenau verso Auschwitz abbiamo trovato un pannello con delle fotografie per strada, tra le vie del paese. Le fotografie mostrano i contadini in partenza dalle proprie abitazioni, sfollate nel 1941. I materiali degli edifici distrutti servirono per costruire parte delle baracche del campo.

La superficie riservata all’intero complesso di Auschwitz-Birkenau ricopriva quaranta chilometri quadrati. Oltre ai tre principali: Auschwitz, Birkenau e Monowitz (dove fu internato Primo Levi), c’erano una cinquantina di campi sussidiari, costruiti dai prigionieri, principalmente nei pressi di miniere, fonderie, stabilimenti industriali e fattorie.

La prima parola che mi viene pensando a Birkenau è: immenso. Ora è tutto ricoperto di neve e si fa fatica a vederne i confini, nonostante il filo spinato (che durante la guerra era a 700 V), e le torri di controllo.

Entrando dalla rampa ferroviaria, che portava i treni direttamente dentro al campo di sterminio si trova un vagone per il bestiame, come quelli usati per i deportati. Chi era sopravvissuto ai viaggi estenuanti da ogni parte d’Europa trovava la morte appena sceso dal treno. La maggior parte delle persone che arrivavano a Birkenau non passava la selezione e andava nella colonna verso la camera a gas.

Alcuni treni arrivavano ancora più avanti, all’ingresso dei forni crematori. Le selezioni erano state fatte prima di partire, erano tutti destinati a essere uccisi appena arrivati.

Il primo forno crematorio fu realizzato nel campo di Auschwitz, ma non era abbastanza efficiente, a Birkenau costruirono i forni più grandi No.2 e No.3 in fondo al campo, e ancora No.4 e No.5 nascosti al confine con il bosco. Ma non bastavano mai, arrivavano migliaia e migliaia ogni giorno, spesso dovevano aspettare di essere uccisi fuori dalle camere a gas. Anche i forni crematori erano affollati e spesso bruciavano i corpi a cielo aperto.

A destra di trovano i settori maschili, con baracche in legno, come quelle delle scuderie per cavalli, ancora come animali. Per le SS erano economiche, veloci da montare e smontare all’occorrenza, come fecero alla fine del 1944, quando iniziò lo smantellamento per distruggere le prove dei crimini commessi.

A sinistra le baracche di mattoni nel settore delle donne. Furono le prime ad essere costruite, dopo optarono per quelle in legno. Le donne erano meno degli uomini: uccise appena arrivate insieme ai propri bambini, con una puntura di fenolo al cuore o gassate e incenerite. Spesso una donna prendeva più bambini e li accompagnava a morire salvando qualche amica, sorella o figlia.

Dall’esterno queste baracche sembrano quasi delle case ma appena entrati si sente la morte con gli occhi e con il cuore. Due file di tavole per dormire e l’ultima direttamente a terra, con un po’ di paglia marcia. Molti avevano la dissenteria e si capisce che chi riusciva a salire in cima al castello era fortunato.

Tra i forni e il bosco c’è un blocco dove chi era scampato alla selezione iniziale veniva spogliato, rasato, tatuato, lavato con un getto di acqua gelata o bollente e vestito, se così si può dire, con una divisa usata “disinfettata” con il vapore e consegnata bagnata. Niente biancheria, calze, cappotto o altro indumento. Da quel momento solo un numero tedesco, vietato farsi chiamare per nome o parlare la propria lingua. I cinquecento bambini, cavie di Josef Mengele, trovati dai russi alla liberazione non sapevano più come si chiamavano, né parlare la propria lingua.

In questo edificio sono esposte le fotografie ritrovate in una valigia sotterrata con i ricordi di persone, famiglie intere, non numeri. Siamo abituati a pensare alle vittime della Shoah (che non si possono contare, dato che chi era selezionato per la camera a gas appena arrivato non veniva neanche registrato), come spettri che camminano, a vedere i volti emaciati, senza capelli, con gli occhi vuoti. In questi pannelli si vedono persone vere, famiglie felici e spensierate, feste, neonati, primi passi, primi bagnetti, uomini in giacca e cravatta, donne con vestiti e cappelli. Tutti andati in fumo.

Proprio in fondo, prima del forno No.3 si trovava la baracca dove Mengele torturava le sue vittime con esperimenti di tutti i tipi, soprattutto su bambini e gemelli. Crudeltà pura, senza limite né anestesia. Anche la mia mamma aveva una gemella, uguale, sarebbero finite qui di sicuro, me lo diceva sempre.

MAI PIÙ: il silenzio dei sopravvissuti

“Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti”, Primo Levi.

I pochissimi che hanno avuto la fortuna nella sfortuna di essere deportati nell’ultimo periodo prima della liberazione, o quanti avevano una dote o professione utile alle SS, chimico come Primo Levi, illustratore come David Olère, violinista come Helena Dunicz Niwińska, hanno avuto più possibilità di altri di salvarsi. Per questo hanno sofferto tutta la vita per il senso di colpa e la vergogna di essere usciti da quell’inferno, dove avevano visto morire, o semplicemente non visto più, tutti i membri della propria famiglia.

Durante la guerra le case degli ebrei erano state occupate dai vicini, intere famiglie sparite, nessun ricordo, niente di niente. E i pochi sopravvissuti non potevano parlare di quanto avevano vissuto, gli orrori della prigionia e dello sterminio. Chi aveva denunciato, o semplicemente assistito alla deportazione di massa non voleva sapere dove erano andate quelle persone o che cosa fosse accaduto dopo.

In Polonia tutti i ragazzi sono obbligati a visitare questi luoghi almeno una volta. Spero che anche in Italia si arrivi a questa consapevolezza.

Non ci sono parole per descrivere che cosa si vede o raccontare i crimini atroci commessi qui, nel cuore dell’Europa, tra boschi ricoperti di vischio portafortuna. Solo camminando sulla neve ghiacciata, tra filo spinato, rovine dei forni crematori, baracche con file di buchi uno attaccato all’altro per liberarsi dagli escrementi, fosse scavate dai prigionieri e binari che portano alla morte si può sentire le urla delle innumerevoli persone a cui è stata rubata la vita.

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Nel precedente post il video della visita al Campo di concentramento di Auschwitz, nel prossimo la partenza e qualche info pratiche su come venire a visitare questi luoghi di orrore e morte. Per non dimenticare di che cosa è capace l’uomo, se guidato da suoi simili senza umanità.

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Visita al Museo di Auschwitz

28 Gennaio 2019 by federicabertolli Leave a Comment

Fede al cancello Arbeit macht frei
All’ingresso dell’ex campo di concentramento

Per la Giornata della Memoria ho pubblicato il video della visita al Museo nell’ex campo di concentramento di Auschwitz.

Condivido la parte del diario di viaggio in cui racconto questa dolorosa giornata (per leggere la prima parte del diario, sul il viaggio in treno, clicca qui).

10 gennaio 2019: AUSCHWITZ

Siamo appena tornati dalla visita al Museo dell’ex campo di Auschwitz, dall’altra parte del parco qui davanti.

La nostra guida Margherita ci ha consegnato i documenti con l’autorizzazione a fare fotografie e video e mi ha chiesto di attaccare un adesivo sulla giacca per essere riconoscibile all’interno del campo. Eravamo nello stesso edificio dove i deportati venivano spogliati, rasati e tatuati.

L’ingresso al Museo

Stamattina ho varcato il cancello “Arbeit macht frei”con un’etichetta sul petto, in cuor mio in memoria dei distintivi cuciti alle divise a righe dei deportati: stella di Davide per gli Ebrei, triangolo rosso per i prigionieri politici, nero per gli asociali (Rom), rosa per gli omosessuali, ogni categoria ne aveva uno diverso.

Sembra incredibile ma sono riusciti a conservare quasi tutto com’era durante la guerra, in alcuni blocchi sono allestite delle mostre, in altri il museo con fotografie e resti di quello che trovarono dopo la liberazione.

L’orrore dei crimini nazisti

Non ci sono parole per descrivere questo luogo, né la crudeltà che ha regnato, in crescendo, per cinque anni. Le fotografie degli internati torturati e uccisi sono atroci, ma quando sono entrata nella sala dove sono conservati due delle otto tonnellate di capelli ritrovati nel campo non sono riuscita a trattenere le lacrime.

Una catasta immensa di capelli: chiari, scuri, intrecciati, pettinati. Solo una minima parte, capelli di donne uscite dal camino in pochi giorni, gli ultimi non ancora spediti al Terzo Reich per imbottire materassi o uniformi delle SS.

Le persone che arrivavano qui pensavano di iniziare una nuova vita e portavano gli oggetti più preziosi con sé: oro, gioielli e utensili per la vita quotidiana, per un massimo di venticinque chili a testa.

Una fotografia ritrae il binario del treno poco dopo uno dei continui arrivi giornalieri: guardie e detenuti addetti a recuperare i bagagli abbandonati dopo la selezione. L’organizzazione era assoluta, ogni cosa veniva assimilata ad uso del Terzo Reich.

La squadra dei Sonderkommando

La stessa cosa succedeva negli spogliatoi prima di entrare nelle camere a gas, o dopo, quando una squadra speciale chiamata Sonderkommando, composta da detenuti, aveva il compito di tagliare i capelli e strappare i denti d’oro ai corpi prima di portarli al piano superiore, dove venivano bruciati nei forni crematori.

Shlomo Venezia, uno dei pochissimi Sonderkommando sopravvissuti, nella sua testimonianza racconta che arrivato a Birkenau aveva detto di essere un barbiere ma gli unici capelli che ha tagliato erano quelli dei corpi usciti dalle camere a gas. Il suo amico dentista invece strappava i denti d’oro che poi venivano fusi in lingotti e trasportati in Germania.

Nel blocco 21 abbiamo visitato l’esposizione dei disegni di un altro prigioniero della squadra del Sonderkommando nel campo di sterminio di Auschwitz II, ovvero Birkenau. David Olère era un pittore e scenografo francese di origine polacca, dopo la liberazione iniziò a disegnare e dipingere l’orrore che aveva vissuto nel campo. I suoi quadri urlano l’incubo della violenza folle inflitta a chiunque arrivava in quell’infermo.

I bambini di Auschwitz-Birkenau

“I bambini disegnano quello che vedono”è la mostra nel blocco 27 dedicata ai bambini. Un’artista israeliana ha riprodotto i disegni dei bambini prigionieri dei campi che furono ritrovati dopo la liberazione. Non si vedono prati, case, sole e giochi, ma bombardamenti, fucilazioni, treni in arrivo al campo, impiccagioni.

Domani andiamo a Birkenau, il campo costruito appositamente per lo sterminio di massa, aperto nel 1942, per attuare la cosiddetta “Soluzione finale alla questione ebraica”.

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Prossimo post e video: la visita al Campo di sterminio di Birkenau, ovvero Brzezinka,  che i polacchi chiamavano prima della guerra “il paese delle betulle”.

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Visita ad Auschwitz – viaggio in treno

25 Gennaio 2019 by federicabertolli Leave a Comment

Fede alla stazione di Breclav, nella Repubblica Ceca
In viaggio verso Auschwitz

Sono tornata da pochi giorni dalla visita agli ex campi di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Ho scritto un diario di viaggio, che è stato pubblicato da La Nazione. Ripercorro qui le tappe di questo viaggio, integrando il diario con i video girati in quei dolorosi giorni.

In questo post condivido il video e i pensieri del viaggio di andata in treno: siamo partiti a piedi per raggiungere una stazioncina nella campagna lucchese che ci ha portato a Firenze, da qui l’Euronight fino a Vienna, Břeclav nella Repubblica Ceca, per arrivare a Oświęcim, il nome polacco di Auschwitz.

8 gennaio 2019: PARTENZA

Siamo in treno, comodamente seduti, al caldo, illuminati e informati.

Abbiamo salutato i bambini dai nonni, Smilla di tre anni non tratteneva le lacrime, Logos di sei sfuggiva lo sguardo per non vederci uscire.

È la prima volta che partiamo senza di loro, è un distacco doloroso ma obbligato. Non andiamo in vacanza da soli, andiamo a visitare un luogo lontano dove i bambini non possono entrare. Faremo delle fotografie e dei video che potranno vedere, molte altre no, almeno per ora. 

Il mio pensiero va alle migliaia e migliaia di persone che venivano fatte salire sui treni della morte, accompagnate da urla di soldati e cani. Ammassati in treni piombati, su vagoni per il trasporto del bestiame, riempiti fino a non riuscire quasi a sedersi. Così viaggiavano per qualche giorno, con un po’ di cibo, poca acqua, senza finestre, escrementi a terra, vicino ai corpi di chi non ce l’aveva fatta.

Sono nata nel 1974 e ho sentito parlare della guerra e dei tedeschi dai miei genitori, che l’hanno vissuta.

La mamma era in collegio con la sua sorella gemella, per il resto della sua vita non poteva sentire il rumore di un aereo basso senza che le si gelasse il sangue. Mi raccontava che quando c’erano i bombardamenti a Firenze si rifugiavano tutte insieme in cantina e giocava con una bambolina che aveva chiamato Allarmina. 

Il babbo invece aveva i tedeschi in casa. Avevano scelto la casa di campagna sulle colline tra Lucca e Viareggio della famiglia del mio nonno, per stabilire lì il quartier generale della zona. Il mio babbo aveva imparato il tedesco con la Fräulein che l’aveva cresciuto e ai soldati tedeschi serviva un interprete. Aveva tredici anni e più di una volta ha avuto paura di morire. Credo che la sua ossessione di essere in regola per paura delle guardie non lo abbandonerà mai.

Io ho avuto incubi dei tedeschi in guerra da sempre.

Siamo arrivati a Firenze, dobbiamo aspettare l’Euronight per Vienna. La stazione è sgombra, solo qualche viaggiatore solitario e la barriera di cristallo per la sicurezza che non avevamo ancora visto.

9 gennaio 2019: IN TRENO

Siamo sull’Eurocity che abbiamo preso ieri sera a Firenze. Ci siamo svegliati tra i boschi innevati, guardiamo dal finestrino e cerchiamo di immaginare come si sentivano i deportati su queste rotaie, al buio, al freddo, assetati, cacciati dalle proprie case, dalla vita che non avrebbero avuto più.

Caffè alla stazione centrale di Vienna, biglietti per Břeclav nella Repubblica Ceca e si continua il viaggio.

Laghi ghiacciati, campi ricoperti di neve, nidi di vischio avvinghiati agli alberi spogli. A un tratto tre lepri escono dai cespugli e corrono libere sulla neve.

Libertà e prigionia, magia della neve che copre e livella, orrore della violenza e dell’inganno, diabolica organizzazione consapevole di sterminio di massa.

Con il passare delle ore e delle terre la nostra vita a casa è sempre più lontana e silenziosa. Ci avviciniamo al tempio della morte per eccellenza. I nostri cuori iniziano a tremare.

Arrivati a Břeclav dobbiamo aspettare che apra lo sportello della biglietteria internazionale. La signora è gentile e riusciamo velocemente a prenotare l’intercity che ci porterà alla destinazione finale: Oświęcim, la cittadina polacca che i tedeschi chiamavano Auschwitz.

Studio: LA FOLLIA NAZISTA 

I primi campi di concentramento in Germania furono aperti nel 1933, per imprigionare gli avversari politici del regime nazista, i cosiddetti “elementi non assimilabili, oltre agli Ebrei. A partire dal 1940, dopo l’invasione di buona parte dell’Europa centrale da parte della Germania, furono costruiti altri campi di concentramento nei paesi occupati, campi di sterminio solo in Polonia.

Il Konzentrationslager Auschwitz fu aperto nel 1940, come ampliamento delle caserme dell’esercito polacco. Qui venivano reclusi prevalentemente polacchi, infatti Prima della Guerra Oświęcim contava 12 mila abitanti, di cui 7 mila Ebrei.

Per costruire il Lageri tedeschi hanno distrutto le case che si trovavano intorno alla ex-caserma polacca, sfollando gli abitanti di otto paesi delle aree limitrofe. Tutti gli Ebrei e numerosi polacchi considerati prigionieri politici furono internati, altri deportati in Germania ai lavori forzati.

Sulla brochure del Museo ex Campo di Auschwitz-Birkenau si leggono alcune dichiarazioni dei massimi esponenti del partito nazista, diffuse prima della guerra:

“Gli Ebrei sono una razza che deve essere sottoposta alla completa distruzione“. Hans Frank, Governatore Generale della Polonia occupata. 

“Dobbiamo liberare la nazione tedesca da polacchi, russi, ebrei e zingari“. Otto Thierack, Ministro della Giustizia del III Reich. 

“Il compito principale è rintracciare tutti i dirigenti polacchi, […] per poterli rendere innocui. […] Tutti i professionisti di origine polacca verranno impiegati fino allo sfinimento nella nostra industria bellica. E poi tutti i polacchi verranno eliminati dalla faccia della terra“. Heinrich Himmler, Reichsführer SS. 

Nei campi si trovavano infatti oltre agli Ebrei, che costituivano la maggior parte degli internati, anche oppositori politici, prigionieri di guerra (prevalentemente sovietici), Rom, omosessuali, Testimoni di Geova (a causa dell’obiezione di coscienza e il rifiuto del patriottismo) e tutte le persone che rappresentavano una potenziale minaccia per il Terzo Reich.

A partire dal 1942 Auschwitz divenne il principale centro di sterminio di massa degli Ebrei europei. Il campo originario Auschwitz I, già allargato, venne esteso con un secondo campo, Auschwitz II, nei terreni vicini di Brzezinka, ribattezzata Birkenau. Qui vennero costruite delle baracche di legno e quattro forni crematori, per smaltire i corpi delle persone uccise nelle camere a gas con lo Zyklon B, un insetticida per animali.

Le stime riportano 1,3 milioni di persone internate nel campo di Auschwitz, di cui 1,1 milione di Ebrei, di questi ne furono uccisi 1 milione (solo in questo campo). Ma questi numeri non possono considerare le migliaia di persone che, scese dal treno, venivano ritenute inabili al lavoro: i bambini, anziani, malati o donne incinte. Tutti questi andavano in fila diretti alle camere a gas, senza essere neanche registrati, né marchiati con un numero.

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Clicca qui per aprire il prossimo post e video sulla visita al Memoriale e Museo Auschwitz-Birkenau.

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Diario di viaggio su La Nazione

Il mio diario di viaggio sulla visita ad Auschwitz-Birkenau pubblicato su La Nazione:

Fede al cancello di Auschwitz: "Arbeit macht frei"

L’asciugamano azzurro

Grande platano con cielo azzurro

… È caldo in bagno. Dopo la doccia ho sempre la pressione particolarmente bassa. Mi siedo sul water e mi strofino la testa. Eccoli sull’asciugamano azzurro. Ci siamo.

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