
I contatti sono il patrimonio dell’era tecnologica. Anche se, a pensarci bene, le pubbliche relazioni, i legami personali sono sempre stati preziosi. Fonte di speranza e possibilità. Personali e professionali.
Nell’era dei social network le persone si misurano in base a quanti contatti, amici, follower hanno. Le aziende impostano strategie, impiegano super manager, investono importanti somme di denaro, con l’obiettivo di acquisire maggiori contatti, con target mirati.
Mi ha sempre colpito la teoria dei sei gradi di separazione, secondo cui è possibile arrivare a contattare chiunque al mondo attraverso una catena di conoscenze di cinque persone (accorciata a tre gradi, secondo uno studio di Facebook del 2011).
“Chi conosciamo a New York? Babbo, hai il numero del tuo amico di San Francisco? Mamma, la zia ti ha scritto l’indirizzo di vostro cugino in Virginia?“ Organizzai così il mio viaggio negli Stati Uniti nel 1994. Con carta da lettere aerea, penna, voglia di scoprire un mondo lontano e diverso dal mio, un pacchettino di traveler’s cheque e il dizionarietto Collins nello zaino. Niente smartphone, Wi-Fi, Skype o Spotify: il ponte che mi permise di attraversare l’oceano erano, e saranno sempre, i contatti con le persone.
Oggi, dopo ventiquattro anni, sono all’inizio di un nuovo viaggio, alla ricerca delle persone con cui ho condiviso un percorso più o meno lungo della mia vita, o con cui condivido interessi, passioni, eventi e notizie.
Amici d’infanzia, compagni di studi, conservatorio, università. Mi si accende una lucina alla volta, li vado a cercare e faccio un salto nella loro vita attuale. Sorrido e mi sorprendo a vedere la trasformazione delle persone, o l’evoluzione di un tratto della personalità che si è rivelato predominante.
Ogni persona con la quale mi connetto mi dona una finestra sul suo mondo: la apro e ringrazio.