
Per la Giornata della Memoria ho pubblicato il video della visita al Museo nell’ex campo di concentramento di Auschwitz.
Condivido la parte del diario di viaggio in cui racconto questa dolorosa giornata (per leggere la prima parte del diario, sul il viaggio in treno, clicca qui).
10 gennaio 2019: AUSCHWITZ
Siamo appena tornati dalla visita al Museo dell’ex campo di Auschwitz, dall’altra parte del parco qui davanti.
La nostra guida Margherita ci ha consegnato i documenti con l’autorizzazione a fare fotografie e video e mi ha chiesto di attaccare un adesivo sulla giacca per essere riconoscibile all’interno del campo. Eravamo nello stesso edificio dove i deportati venivano spogliati, rasati e tatuati.
L’ingresso al Museo
Stamattina ho varcato il cancello “Arbeit macht frei”con un’etichetta sul petto, in cuor mio in memoria dei distintivi cuciti alle divise a righe dei deportati: stella di Davide per gli Ebrei, triangolo rosso per i prigionieri politici, nero per gli asociali (Rom), rosa per gli omosessuali, ogni categoria ne aveva uno diverso.
Sembra incredibile ma sono riusciti a conservare quasi tutto com’era durante la guerra, in alcuni blocchi sono allestite delle mostre, in altri il museo con fotografie e resti di quello che trovarono dopo la liberazione.
L’orrore dei crimini nazisti
Non ci sono parole per descrivere questo luogo, né la crudeltà che ha regnato, in crescendo, per cinque anni. Le fotografie degli internati torturati e uccisi sono atroci, ma quando sono entrata nella sala dove sono conservati due delle otto tonnellate di capelli ritrovati nel campo non sono riuscita a trattenere le lacrime.
Una catasta immensa di capelli: chiari, scuri, intrecciati, pettinati. Solo una minima parte, capelli di donne uscite dal camino in pochi giorni, gli ultimi non ancora spediti al Terzo Reich per imbottire materassi o uniformi delle SS.
Le persone che arrivavano qui pensavano di iniziare una nuova vita e portavano gli oggetti più preziosi con sé: oro, gioielli e utensili per la vita quotidiana, per un massimo di venticinque chili a testa.
Una fotografia ritrae il binario del treno poco dopo uno dei continui arrivi giornalieri: guardie e detenuti addetti a recuperare i bagagli abbandonati dopo la selezione. L’organizzazione era assoluta, ogni cosa veniva assimilata ad uso del Terzo Reich.
La squadra dei Sonderkommando
La stessa cosa succedeva negli spogliatoi prima di entrare nelle camere a gas, o dopo, quando una squadra speciale chiamata Sonderkommando, composta da detenuti, aveva il compito di tagliare i capelli e strappare i denti d’oro ai corpi prima di portarli al piano superiore, dove venivano bruciati nei forni crematori.
Shlomo Venezia, uno dei pochissimi Sonderkommando sopravvissuti, nella sua testimonianza racconta che arrivato a Birkenau aveva detto di essere un barbiere ma gli unici capelli che ha tagliato erano quelli dei corpi usciti dalle camere a gas. Il suo amico dentista invece strappava i denti d’oro che poi venivano fusi in lingotti e trasportati in Germania.
Nel blocco 21 abbiamo visitato l’esposizione dei disegni di un altro prigioniero della squadra del Sonderkommando nel campo di sterminio di Auschwitz II, ovvero Birkenau. David Olère era un pittore e scenografo francese di origine polacca, dopo la liberazione iniziò a disegnare e dipingere l’orrore che aveva vissuto nel campo. I suoi quadri urlano l’incubo della violenza folle inflitta a chiunque arrivava in quell’infermo.
I bambini di Auschwitz-Birkenau
“I bambini disegnano quello che vedono”è la mostra nel blocco 27 dedicata ai bambini. Un’artista israeliana ha riprodotto i disegni dei bambini prigionieri dei campi che furono ritrovati dopo la liberazione. Non si vedono prati, case, sole e giochi, ma bombardamenti, fucilazioni, treni in arrivo al campo, impiccagioni.
Domani andiamo a Birkenau, il campo costruito appositamente per lo sterminio di massa, aperto nel 1942, per attuare la cosiddetta “Soluzione finale alla questione ebraica”.
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Prossimo post e video: la visita al Campo di sterminio di Birkenau, ovvero Brzezinka, che i polacchi chiamavano prima della guerra “il paese delle betulle”.
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